L’auto elettrica e la «sindrome Blockbuster»

Prendendo alcuni spunti dall’interessante conversazione “a tavola” tra il giornalista Paolo Bricco e Alberto Bombassei, pubblicata su il Sole 24 ore di domenica 27 gennaio 2019, come associazione italiana che promuove lo sviluppo della mobilità elettrica nel nostro Paese vorremmo fornire il nostro punto di vista su una questione così importante.

Il mondo dell’automotive rischia di vivere quella che si può chiamare “sindrome Blockbuster”. Prendiamo il caso del colosso statunitense del videonoleggio: all’inizio degli anni 2000 Blockbuster fatturava 6 miliardi di dollari e gran parte del modello di business si fondava sulle fee per i ritardi nelle riconsegne dei Dvd.

Nel 2000 un ragazzo di Boston, Reed Hastings, propose al capo di Blockbuster, John Antioco, di acquistare la sua startup che aveva introdotto una forma innovativa di noleggio online su abbonamento. Si chiamava Netflix e (allora) valeva 50 milioni di dollari. Antioco rifiutò perché secondo lui Netflix era “un business di nicchia”. Morale della favola: Blockbuster ha dichiarato fallimento nel 2010, mentre Netflix ha quasi 100 milioni di utenti in tutto il mondo e vale oltre 170 miliardi di dollari.

L’aneddoto ci parla di industrie in evoluzione, esattamente come sta accadendo in questo momento per il settore mobilità. Continuare a difendere rendite di posizione dell’industria europea dell’auto, sostenendo che questa è basata sul diesel come specializzazione produttiva e che è necessario tutelarla dall’avanzata elettrica cinese, significa avere una visione limitata dello sviluppo potenziale del settore. Significa rimanere arroccati ad una visione da Blockbuster dell’industria automotive.

Ma veniamo al punto: è davvero un micidiale “job-killer” questa auto elettrica? Forse le cose non stanno esattamente così come vengono descritte.

Ci sono diversi studi, possiamo citare quello dell’European Climate Foundation, che sostengono che la rivoluzione elettrica può contribuire in maniera determinante allo sviluppo dell’occupazione. Le ripercussioni negative su singoli segmenti dell’industria automobilistica, infatti, potrebbero essere compensate con la crescita nel settore dell’energia, dell’elettronica e dei servizi software associati.

I fornitori tradizionali dovranno iniziare a riconvertire il proprio modello di business dagli iniettori ai semilavorati per batterie o alla componentistica per i freni rigenerativi. Emergeranno nuovi fornitori: soggetti che si occupano del “second life” delle batterie o della gestione smart dei mezzi, fornitori di servizi di ricarica. Secondo lo Studio “Electrify 2030”, condotto da Ambrosetti in collaborazione con Enel X, l’indotto potenziale della filiera allargata dell’e-mobility in Italia conterebbe 160.000 soggetti industriali e circa 800.000 occupati. Un potenziale e un’occasione che il nostro Paese non può permettersi di lasciare sfuggire.

Un buon segnale arriva anche dalle case automotive europee che hanno messo a piano complessivamente 800 miliardi di euro di investimenti nell’elettrico (una grossa fetta dei quali si stanno direzionando verso il mercato asiatico) ed è proprio su questo piano che si giocano le partite più importanti del futuro dell’industria europea e italiana. La trasformazione della catena del valore non avviene dall’oggi al domani. Richiede pianificazione, investimenti e sostegno politico. Ma ancora di più richiede una visione industriale che non si limiti a difendere strutture e dinamiche esistenti.

Oggi il vero conflitto non è tra sostenitori dell’elettrico e sostenitori del termico. Questo schema, oltre a risultare semplicistico, manca clamorosamente il bersaglio: di evolvere il sistema paese in un trend commerciale che nel resto del mondo è già avviato e sviluppato. E sarebbe un peccato, visto che la manifattura italiana non ha niente da imparare in termini di capacità e spirito di innovazione.

Nel 2000 c’erano 9.000 negozi Blockbuster in tutto il mondo. Oggi l’ultimo baluardo resiste nella cittadina di Bend, in Oregon, 52.000 anime e un negozio Blockbuster. Dobbiamo fare in modo che le nostre imprese non facciano questa fine. E il solo modo di farlo è cambiare visione, cogliendo le occasioni fornite dalla transizione dell’e-mobility, piuttosto che continuare sistematicamente a demonizzarle.
Segretario generale Motus-E.

Da Il Sole 24 Ore

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